Deep blue e Kasparov: Il duello che ridisegnò i confini dell'intelligenza

  Nel maggio del 1997, la città di New York fu testimone di un evento che avrebbe cambiato per sempre il modo in cui percepiamo l'intelligenza artificiale. Un computer, conosciuto come Deep Blue, sconfisse il campione del mondo di scacchi, Garry Kasparov, in un match che segnò una svolta storica. Ma questa non fu solo una sfida tra uomo e macchina; fu uno scontro di epoche, di filosofie, e di una tecnologia in rapida ascesa che iniziava a mostrare il suo potenziale rivoluzionario. Kasparov, il prodigio russo, aveva dominato il mondo degli scacchi per anni. Conosciuto per la sua mente strategica e la capacità di anticipare le mosse dei suoi avversari, aveva già sconfitto numerosi campioni, cementando la sua posizione come uno dei più grandi scacchisti di tutti i tempi. A soli sei anni, già maneggiava la scacchiera con una padronanza invidiabile, imparando dal padre un gioco che lo avrebbe portato sulla vetta del mondo. Dall'altra parte c'era Deep Blue, un progetto ambizioso nato nei laboratori di IBM nel 1989. 

  Questo computer, frutto del lavoro instancabile di un informatico cinese, Feng-hsiung Hsu, era stato progettato con un unico obiettivo: diventare il primo computer in grado di battere un campione del mondo di scacchi. E ci riuscì, ma non senza fatica. Il primo incontro tra Kasparov e Deep Blue avvenne a Filadelfia nel 1996. Kasparov vinse il match complessivo, ma non senza subire una sconfitta in una delle partite. Questo evento fece crescere l'interesse del pubblico e degli esperti, che iniziarono a vedere in Deep Blue qualcosa di più di un semplice pezzo di hardware: un avversario temibile, capace di calcolare 200 milioni di mosse al secondo, un ritmo che avrebbe intimidito chiunque. Ma fu l'anno successivo, nel 1997, a New York, che Deep Blue entrò davvero nella storia. In una serie di sei partite, la macchina di IBM riuscì a battere Kasparov, vincendo con un punteggio finale di 3,5 a 2,5. Kasparov, scosso dalla sconfitta, ammise che la macchina lo aveva destabilizzato, adottando strategie che non si aspettava. Per molti, questo non era solo un trionfo della tecnologia, ma un segno che il mondo stava cambiando, e che l'intelligenza artificiale stava iniziando a mostrare il suo potenziale. Eppure, nonostante la vittoria, il dibattito su cosa costituisca la vera intelligenza era appena iniziato. Deep Blue vinse grazie alla sua incredibile potenza di calcolo, utilizzando quella che gli esperti chiamano "forza bruta": la capacità di analizzare ogni possibile mossa e contro-mossa in tempi rapidissimi. 

  Ma questa strategia, per quanto efficace, sollevò domande importanti. Può una macchina che non sbaglia mai essere considerata intelligente? O è semplicemente una questione di potenza di calcolo? Il celebre matematico e pioniere dell'informatica Alan Turing aveva già affrontato questa domanda decenni prima, sostenendo che la vera intelligenza richiede la capacità di fare errori, di imparare da essi e di adattarsi. Un gruppo di 116 ricercatori, analizzando il match, concluse che una macchina perfetta non può essere considerata davvero intelligente, perché l'intelligenza implica qualcosa di più della semplice perfezione matematica. Da quel giorno, il mondo degli scacchi e dell'intelligenza artificiale ha fatto passi da gigante. Oggi, software come Stockfish o AlphaZero superano di gran lunga le capacità di Deep Blue, non solo per la loro potenza, ma per il modo in cui apprendono e si adattano, emulando un pensiero che si avvicina sempre di più a quello umano. Il match del 1997 rimane, tuttavia, un simbolo di come l'umanità stia costantemente ridefinendo i propri limiti. Deep Blue ha aperto una porta verso un futuro in cui l'intelligenza artificiale non è solo un mero strumento, ma un compagno di sfide, un avversario che ci costringe a riconsiderare cosa significhi essere intelligenti. Forse, come nel gioco degli scacchi, il futuro sarà una continua partita tra uomo e macchina, in cui la vittoria non è mai definitiva, ma ogni mossa ci avvicina a una comprensione più profonda di noi stessi e delle nostre creazioni.

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