Sardegna malata: la sanità crolla, i medici pagano il prezzo e i pazienti con loro - Ennesima aggressione ad una dottoressa, stavolta a Decimoputzu

  A Decimoputzu si è consumato l'ennesimo atto di una tragedia che non vuole finire. Un uomo di 43 anni, affetto da problemi psichici, sfonda la porta della guardia medica in piena notte. La dottoressa di turno, sola come troppo spesso accade, cerca di calmarlo. Forse tenta con una puntura di tranquillante, ma l'uomo la spintona, facendola cadere a terra. Lei riporta lievi ferite e un grande spavento. L'ambulatorio chiude, in attesa che qualcuno ripari la porta. Fine della storia? Neanche per sogno. 

  Questo episodio è solo l'ultimo di una serie che sembra non avere fine. Medici aggrediti, infermieri insultati, strutture abbandonate a sé stesse. La sanità sarda è un malato grave, ma pare che nessuno voglia prendersi la briga di curarlo. Si preferisce mettere una pezza qua e là, sperando che regga fino alla prossima emergenza. Al Brotzu di Cagliari, il più grande ospedale dell'isola, i sanitari sono sul piede di guerra. Minacciano scioperi, protestano contro turni massacranti e carenze croniche di personale. Si sentono abbandonati, e come dar loro torto? I tagli alla sanità hanno lasciato ferite profonde, e a pagarne le conseguenze sono sempre gli stessi: medici e pazienti. Il malessere è palpabile. I professionisti sono schiacciati da responsabilità enormi, costretti a lavorare in condizioni inaccettabili. Gli ospedali cadono a pezzi, le attrezzature sono obsolete, i reparti sovraffollati. E mentre tutto questo accade, chi dovrebbe intervenire si perde in chiacchiere e promesse che sanno di beffa. 

  La dottoressa aggredita a Decimoputzu non è un'eroina, ma una professionista che fa il suo dovere in un contesto che di professionale ha ben poco. Sola, di notte, senza alcuna misura di sicurezza. È normale tutto questo? È accettabile che nel 2024 una guardia medica sia presidiata da una sola persona, senza alcun supporto? I pazienti psichiatrici sono spesso abbandonati a sé stessi, le famiglie non sanno a chi rivolgersi, i servizi territoriali sono inesistenti o ridotti all'osso. E così accade che un uomo in evidente stato di agitazione finisca per diventare un pericolo per sé e per gli altri. Non è colpa sua, non è colpa della dottoressa. La responsabilità è di un sistema che fa acqua da tutte le parti. Le aggressioni al personale sanitario non sono più eventi isolati, ma una tragica routine. E ogni volta ci si straccia le vesti, si promettono interventi, si annunciano piani straordinari. Poi tutto torna come prima, anzi peggio. 

  La verità è che la sanità sarda è stata smantellata pezzo dopo pezzo, in nome di una razionalizzazione che sa tanto di tagli selvaggi. Si risparmia sul personale, sulle attrezzature, sulla manutenzione delle strutture. Ma il prezzo di questi risparmi lo paghiamo tutti, in termini di servizi scadenti e di sicurezza compromessa. I medici e gli infermieri sono allo stremo. Chiedono solo di poter svolgere il proprio lavoro in condizioni dignitose. Non cercano privilegi, ma diritti fondamentali. Eppure, le loro richieste cadono nel vuoto, sommerse da un silenzio assordante. È ora di dire basta. Non possiamo più permetterci di ignorare quello che sta accadendo. 

  La salute è un diritto, non un lusso. E garantire un servizio sanitario efficiente è un dovere di chi governa, non un optional. Se non si interviene subito, episodi come quello di Decimoputzu diventeranno sempre più frequenti. E allora sarà troppo tardi per correre ai ripari. Serve un cambio di rotta deciso, investimenti seri, una pianificazione che metta al centro le persone e non i bilanci. La Sardegna merita di meglio. I suoi cittadini hanno diritto a una sanità che funzioni, a professionisti valorizzati e non sfruttati. È il momento di agire, di smettere con le chiacchiere e passare ai fatti. Perché la salute non può aspettare, e neanche noi.

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