Rinnovabili in Sardegna: quando la politica usa il pretesto per ignorare la realtà

  Che si parli di eolico, solare o biomasse, la questione energetica in Sardegna è diventata terreno di battaglia. Non perché si sia aperto un dibattito serio e approfondito su come integrare le energie rinnovabili in un'isola che ne ha un disperato bisogno, ma perché ogni fazione ha trovato nel tema un comodo pretesto. Da un lato, chi raccoglie firme e invoca moratorie nazionali, dall’altro una classe politica che usa il pugno di ferro, screditando i promotori come facinorosi, marginalizzando le loro istanze. 

  La presidente Alessandra Todde, di fronte alle 20mila firme raccolte, non ha esitato a ribadire che "comandano loro", quasi a voler chiudere la questione prima ancora di discuterla. Il solito copione: se non puoi sconfiggere il tuo nemico, attaccalo da altre parti. A Roma, in questi giorni, sono arrivate le prime firme contro la speculazione energetica, promosse dal Gruppo Intervento Giuridico (Grig). Si parla di una moratoria nazionale sugli impianti di energia rinnovabile, sotto lo slogan che suona come un’accusa: "Sì all'energia rinnovabile, no alla speculazione energetica". Dietro questa petizione c'è la volontà di rimettere ordine, di consentire una pianificazione che non sacrifichi ambiente e territorio in nome del profitto. 

  Tra i firmatari, personalità della cultura e della scienza, archeologi, dirigenti ministeriali, e persino artisti come la cantante Nada, impegnata a difendere la sua Maremma. Ma dietro la cortina fumogena delle firme e delle dichiarazioni politiche, c'è una verità ben più cruda: la Sardegna è già sotto assedio. Il Grig ha rivelato che solo sull'isola sono stati presentati 804 progetti per impianti di energia rinnovabile, pari a 53,78 GW di potenza, quasi 30 volte la potenza attuale degli impianti esistenti. Siamo ben oltre l’obiettivo al 2030 stabilito a livello comunitario, che si ferma a 7 volte meno. E qui si apre il grande dilemma: è questo sviluppo o sfruttamento? La verità è che in Sardegna, come altrove, la corsa alle rinnovabili non è mossa dall’amore per l’ambiente o da una sincera volontà di combattere il cambiamento climatico. È il denaro, è la speculazione, è l’interesse economico che alimenta questa macchina infernale. Si parla tanto di sostenibilità, di futuro, di un pianeta più verde, ma dietro le pale eoliche che spuntano come funghi sui crinali appenninici e nelle terre sarde c’è chi lucra a spese delle comunità locali. E la politica, anziché frenare questa deriva, la asseconda, usando ogni pretesto per zittire chiunque osi opporsi. 

  In mezzo a questo caos, i cittadini rimangono confusi e impotenti. Alcuni vedono nelle rinnovabili una via d’uscita dall’isolamento energetico e dall’impoverimento economico, altri temono che le loro terre vengano saccheggiate e devastate. Ma chi ha davvero il controllo della situazione? Non certo chi firma petizioni o chi lotta per un futuro più sostenibile. Come sempre, il potere è nelle mani di chi sfrutta il pretesto per portare avanti i propri interessi. Nel frattempo, la tensione sale. Ci sono stati episodi di incendi dolosi contro le pale eoliche, strade bloccate, proteste che si fanno sempre più vibranti. Ma in questo marasma, l’immobilismo è forse il peggiore dei mali. E allora ci si domanda: è davvero un bene continuare a spingere per un modello di sviluppo che sembra più orientato al profitto che alla sostenibilità? O siamo di fronte all’ennesima truffa, vestita da green economy? Il rischio è che, come spesso accade, la politica usi il tema delle rinnovabili come uno specchio per le allodole. 

  Promettono un futuro migliore, ma intanto mettono a tacere ogni voce dissenziente, etichettando chiunque si opponga come retrogrado o estremista. Ed è così che si perde la fiducia nella politica, quando i problemi reali vengono nascosti dietro slogan e pretesti, mentre i territori e le comunità vengono sacrificati in nome di un progresso che non lascia nulla dietro di sé, se non macerie e disillusione. La Sardegna, come il resto d'Italia, non ha bisogno di pretesti, ma di soluzioni. Soluzioni che mettano al centro le persone, il territorio, e non solo gli interessi economici. Altrimenti, non ci sarà differenza tra chi costruisce pale eoliche e chi, esasperato, le incendia.

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