In Sardegna, terra di battaglie e orgoglio, l'energia eolica – simbolo di progresso – ha smesso di essere una questione di innovazione ed è diventata il pretesto per scontri ideologici dove il buon senso viene messo al rogo. L'ultimo atto, l'espropriazione simbolica di un impianto eolico da parte degli indipendentisti, riassume un paradosso tutto sardo: chi un tempo gridava all'autonomia oggi difende la terra come se ogni pala fosse un'invasione nemica.
Il dibattito è ormai un terreno minato. Da una parte, chi vede nelle rinnovabili l'unica speranza di un domani pulito; dall'altra, chi le percepisce come un cavallo di Troia, pronto a portarsi via non solo il paesaggio ma l'anima stessa dell'isola.
Espropri e bandiere agitano gli animi: gli indipendentisti, da simboli di ribellione e innovazione, ora brandiscono la tradizione come uno scudo. Un ribaltamento che farebbe sorridere se non fosse così amaro, come un Vannacci che d'improvviso trova eco nelle piazze.
La verità è che in questa guerra di slogan, la ragione si è persa. L'energia eolica, promessa di progresso, si scontra con un radicato senso di appartenenza che vede in ogni turbina un dito puntato contro la sovranità del territorio. Ogni promessa di transizione verde – nobile nei salotti, scomoda nei campi – finisce per sembrare un affronto, un'ulteriore spoliazione mascherata da progresso.
Questa non è solo una battaglia tra chi vuole il cambiamento e chi lo rifiuta.
È il teatro di un mondo al contrario, dove i paladini dell'autonomia diventano conservatori, e chi porta il vessillo della modernità finisce per essere visto come un invasore. La Sardegna si trova stretta tra modernità e tradizione, un gioco di specchi che non lascia spazio al dialogo, solo alla barricata.
Il futuro della Sardegna non può essere deciso solo a colpi di idealismi o di slogan, ma richiede la capacità di ascoltare, di capire. La vera domanda non è se le pale eoliche debbano girare o meno, ma come il progresso possa scorrere senza calpestare le radici di una terra che ha imparato a resistere a tutto, tranne che alle sue stesse divisioni.