L’intelligenza artificiale (IA) e l’automazione sono concetti tutt’altro che recenti: la loro teorizzazione risale agli anni ’60, ma è solo negli ultimi decenni che queste tecnologie sono diventate realtà tangibili in grado di trasformare profondamente il tessuto economico e sociale. Oggi, mentre il mondo osserva con attenzione le loro potenzialità, in Sardegna si profila uno scenario complesso in cui rischi e opportunità si intrecciano in modo quasi inestricabile.
Uno studio della CNA Sardegna ha recentemente gettato luce sugli impatti che l’IA e l’automazione potrebbero avere sull’economia isolana, delineando un futuro che richiede cautela e lungimiranza.
La piena implementazione delle tecnologie di IA nei processi produttivi in Sardegna rischierebbe di minacciare 105.620 posti di lavoro, circa il 18,3% degli occupati. Questo dato, pur inferiore alla media nazionale del 19,4%, rappresenta una fetta significativa della forza lavoro, in particolare in settori legati a mansioni ripetitive e manuali, come l’agricoltura e la logistica. La CNA prevede che, nonostante la creazione di circa 46.367 nuovi posti di lavoro in settori tecnologicamente avanzati come IT, finanza e assicurazioni, il saldo netto resterebbe negativo, con una perdita complessiva di 59.253 posti, pari al 10,3% dell’occupazione attuale.
Questa proiezione evidenzia la necessità di una risposta proattiva per sostenere la transizione del mercato del lavoro. L’automazione, se da un lato minaccia i posti di lavoro in ambiti tradizionali, dall’altro favorisce il sorgere di nuove professioni, richiedendo però competenze specialistiche spesso assenti nell’attuale forza lavoro sarda.
La peculiarità economica della Sardegna, meno industrializzata rispetto alle regioni del Nord Italia, presenta un duplice effetto: da un lato, questa struttura “anti-industriale”, incentrata su PA, turismo e artigianato, potrebbe attutire l’impatto negativo dell’automazione. Tuttavia, la scarsa vocazione industriale dell’isola limita il potenziale di crescita della produttività, con un incremento stimato del valore aggiunto regionale del +12,8%, inferiore alla media nazionale del 13,1% ma superiore alla maggior parte delle regioni del Mezzogiorno.
Questo aumento porterebbe circa 5 miliardi di euro in più di ricchezza, una cifra importante, seppur moderata rispetto al resto del Paese.
In settori come l’informazione e la comunicazione, la produttività potrebbe crescere del 41,1%, mentre nei servizi finanziari l’aumento stimato è del 31,9%. Tuttavia, tali incrementi potrebbero non essere sufficienti a compensare la diminuzione degli occupati, e il rischio di esclusione di numerosi lavoratori tradizionali si fa sentire.
Come sottolineato dai vertici CNA, Luigi Tomasi e Francesco Porcu, per evitare che la Sardegna perda, ancora una volta, il “treno dell’innovazione”, è necessario investire in maniera strategica nella riqualificazione professionale e nella formazione per i settori emergenti. Una politica di sviluppo mirata dovrebbe combinare sostenibilità, innovazione e welfare per consentire l’inclusione dei lavoratori esclusi e promuovere un modello di crescita equilibrato e lungimirante.
Sarebbe un errore, infatti, lasciarsi sfuggire l’opportunità di ridurre lo storico divario di competitività che separa la Sardegna dalle regioni più dinamiche d’Europa e dell’Italia stessa.
In questa fase di transizione, è indispensabile una visione strategica per anticipare l’evoluzione del mercato del lavoro, integrando l’innovazione tecnologica nei settori a maggior potenziale di crescita e adottando un approccio che favorisca la creazione di una forza lavoro flessibile e adattabile alle sfide future.
L’IA e l’automazione rappresentano non solo una minaccia, ma anche una straordinaria opportunità per la Sardegna. Affinché questa trasformazione si riveli vantaggiosa per l’isola, sarà necessario abbandonare il pressapochismo e affrontare la questione con determinazione, pianificazione e investimenti mirati.