Farmacie in crisi: stipendi bassi, pochi giovani e rischio chiusura

La professione del farmacista sta attraversando una crisi senza precedenti. Undici anni senza un rinnovo contrattuale, stipendi bloccati e condizioni di lavoro sempre più precarie stanno portando a una fuga silenziosa di professionisti, con conseguenze dirette sulla tenuta del servizio farmaceutico in tutto il paese. Un settore che un tempo garantiva stabilità economica e sociale si trova oggi in grave difficoltà, con farmacie che faticano a trovare personale e un crescente divario tra domanda e offerta.

Un farmacista neolaureato percepisce oggi uno stipendio medio di 1.450 euro netti al mese, con punte minime che scendono fino a 1.200 euro. Importi inferiori rispetto a molte altre professioni meno qualificate, che rendono il settore sempre meno attrattivo per le nuove generazioni. Dopo oltre un decennio di blocco contrattuale, Federfarma ha proposto un aumento di appena 120 euro, un ritocco giudicato inadeguato dai sindacati, considerando il costo della vita e l’inflazione accumulata nel tempo.

A pagarne le conseguenze è innanzitutto il sistema di formazione: il numero di laureati in Farmacia è diminuito del 20% negli ultimi cinque anni, passando da oltre 5.000 nel 2017 a poco più di 4.000 nel 2023. Affrontare cinque anni di studi impegnativi, un tirocinio obbligatorio e una formazione continua per poi ritrovarsi con stipendi modesti e prospettive incerte è una scelta sempre meno appetibile per i giovani. Il risultato è che le farmacie non trovano più personale. Se un tempo i titolari potevano scegliere tra numerosi candidati, oggi il problema è trovare qualcuno disposto a lavorare. Le offerte restano vacanti per mesi e la carenza di farmacisti ha ormai raggiunto l’85% in molte zone d’Italia.

La situazione è particolarmente grave nelle farmacie rurali, che spesso rappresentano l’unico presidio sanitario per intere comunità. In molti piccoli comuni, la mancanza di farmacisti rischia di portare alla chiusura di numerosi esercizi, con ripercussioni pesanti sulla popolazione, soprattutto per gli anziani e i malati cronici, che nelle aree più isolate dipendono esclusivamente dalla farmacia locale per l’accesso ai farmaci.

A questa crisi si aggiunge un ulteriore elemento di preoccupazione: la creazione di figure ibride per sostituire i farmacisti con personale meno qualificato. Si discute sempre più frequentemente della possibilità di impiegare assistenti di farmacia, professionisti con una formazione ridotta rispetto a un laureato in Farmacia, per la gestione della dispensazione dei medicinali. Se questa ipotesi dovesse concretizzarsi, il rischio sarebbe quello di compromettere la sicurezza dei pazienti, affidando un compito delicato come la somministrazione dei farmaci a personale privo delle necessarie competenze specialistiche.

La crisi dei farmacisti si inserisce in un quadro più ampio di difficoltà che coinvolge l’intero sistema sanitario. La carenza di personale non riguarda solo le farmacie, ma anche medici e infermieri. In Sardegna, ad esempio, entro il 2027 mancheranno 2.000 medici, mentre per gli infermieri si prevede un deficit di 1.400 unità entro il 2030. La sanità pubblica italiana ha già dimostrato fragilità evidenti, e la mancanza di farmacisti, infermieri e medici non farà che aggravare la situazione.

Per evitare il tracollo, è necessario un intervento immediato. I sindacati e le associazioni di categoria chiedono un adeguamento degli stipendi, che tenga conto del livello di responsabilità e della formazione richiesta per la professione. Servono anche incentivi per attrarre nuovi studenti verso la facoltà di Farmacia e garantire la continuità del servizio. Nel breve termine, la revisione del contratto collettivo è un passaggio imprescindibile per rendere il settore più competitivo. Nel lungo periodo, invece, sarà necessario ripensare il modello di gestione delle farmacie, valorizzando il ruolo del farmacista e rafforzando il legame tra queste strutture e il servizio sanitario nazionale.

Se la tendenza attuale non verrà invertita, il rischio concreto è quello di un progressivo svuotamento delle farmacie, con una conseguente perdita di qualità nei servizi sanitari e un ulteriore aggravio per gli ospedali, che si troveranno a dover sopperire a un’assenza sempre più marcata sul territorio. La crisi della professione del farmacista è il sintomo di un problema più profondo: senza un piano di rilancio adeguato, il sistema sanitario italiano rischia di trovarsi senza una delle sue colonne portanti.

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