Lo scrittore Roberto Saviano. Ha fatto una incursione sul banditismo sardo. Riferendosi alla rapina stradale avvenuta in Toscana. Sostanzialmente ha ricostruito l'assalto. Attribuendo questo genere di modalità delinquenziali a foggiani (di Cerignola) e a sardi (di Sassari e Desulo). Questa seconda identificazione appare oltremodo avventurosa. Almeno allo stato attuale. Saviano in video ha detto che gli isolani non sopportano gerarchie (i boss) e che per questo non c'è mafia in Sardegna. Noi diciamo chentu concas chentu berrittas (cento teste cento cappelli). Indicando un individualismo che non sopporta l'associazionismo, se non temporaneo. L'excursus di Saviano sul mondo criminale sardo è parso comunque molto approssimativo. Dettato da logiche più vicine alla sua realtà, quella della camorra. Ma non si è addentrato più di tanto nella fenomenologia criminosa sarda. Diciamo che ha voluto metterci il naso, perché l'assalto sull'autostrada nei pressi di Livorno ha suscitato molto clamore. Mi sento semplicemente di rispettare il suo punto di vista. Salvo l'etichetta delinquenziale del commando individuata in elementi sassaresi o desulesi. Che assolutamente sento di non poter condividere. Vorrei comunque ricordare che le prime vittime del banditismo sono le comunità sarde e in genere la Sardegna. Un pugno di criminali getta fango su tutta l'Isola. Ai tempi dei sequestri di persona le popolazioni sarde pagarono duramente le imprese delittuose di alcuni manipoli di fuorilegge. Ogni Società ha, per natura, le sue frangie criminali. Il pericolo è che anche in questo caso, quello degli assalti ai furgoni portavalori, si tenda a colpevolizzare una intera popolazione. Che invece, ripeto, come ben sappiamo, è la prima a soffrire per queste vicende. Mario Guerrini.