Dopo la rivoluzione berlusconiana, la politica italiana si trovò di fronte a una nuova sfida: portare un ex comunista alla guida del governo. Massimo D’Alema, nato e cresciuto nella tradizione del Partito Comunista Italiano (PCI), divenne nel 1998 il primo esponente della sinistra post-comunista a diventare Presidente del Consiglio. Un evento che, sebbene fosse il frutto di anni di trasformazioni politiche, segnava comunque un momento storico. Il PCI, che si era trasformato in Partito Democratico della Sinistra (PDS) e poi in Democratici di Sinistra (DS), era finalmente arrivato al vertice del potere.
D’Alema, nato nel 1949 a Roma, era figlio di un dirigente comunista.
La politica, dunque, era sempre stata nel suo DNA. Cresciuto nel PCI, dove aveva fatto carriera all’interno della struttura giovanile e del partito, D’Alema si era distinto per il suo acume politico e per la capacità di tessere alleanze. Non era uno che si lasciava intimidire facilmente. Quando nel 1998 divenne Presidente del Consiglio, la sua nomina rappresentava la definitiva transizione della sinistra italiana dal comunismo alla socialdemocrazia. L’Italia aveva voltato pagina.
Si racconta che, al suo insediamento, un giornalista gli chiese se sentisse il peso di essere il primo comunista a guidare il governo italiano. D’Alema, con il suo solito tono ironico, rispose: “Sono più preoccupato di far bene che di fare la storia.” Era tipico di D’Alema: pragmatico, diretto, concentrato sul risultato.
Il governo D’Alema nacque da una crisi politica interna al centro-sinistra. Nel 1996, Romano Prodi aveva portato la coalizione dell’Ulivo alla vittoria, ma nel 1998 il suo governo si trovò in difficoltà. Dopo aver perso la maggioranza, Prodi fu costretto a dimettersi, e fu D’Alema, con la sua abilità di negoziatore e la sua capacità di mediazione, a formare una nuova coalizione. Così, senza elezioni, D’Alema riuscì a diventare Presidente del Consiglio, dimostrando ancora una volta la sua capacità di tessere le trame della politica.
Uno degli episodi più significativi del governo D’Alema fu la guerra del Kosovo nel 1999. Fu un momento cruciale, poiché l’Italia, sotto la sua guida, partecipò alle operazioni della NATO contro la Serbia di Slobodan Miloševic. Questo pose D’Alema di fronte a una sfida che nessun esponente della sinistra italiana aveva mai affrontato: gestire un conflitto militare.
L’intervento nel Kosovo fu un argomento di grande divisione, specialmente per un uomo che proveniva dal mondo comunista, tradizionalmente pacifista e anti-interventista. D’Alema, tuttavia, giustificò la partecipazione italiana con un forte richiamo alla difesa dei diritti umani e alla necessità di fermare le violenze nei Balcani. Un aneddoto racconta che, durante una riunione con i vertici della NATO, qualcuno gli chiese come si sentisse, da ex comunista, a collaborare con l’Alleanza Atlantica. D’Alema, con il suo classico distacco, rispose: "Le ideologie passano, le responsabilità restano."
Riforme e contraddizioni: l'ombra della destra e il centro-sinistra frammentato
Il governo di D’Alema portò avanti una serie di riforme, ma si trovò spesso ad affrontare un centro-sinistra diviso. La frammentazione della coalizione rendeva difficile portare avanti una linea coerente, e D’Alema dovette fare i conti con le continue tensioni interne. Il centro-destra di Berlusconi, intanto, cresceva in popolarità e si preparava a tornare al potere.
Uno dei principali obiettivi del governo D’Alema fu il tentativo di riformare il sistema istituzionale italiano, puntando a una maggiore stabilità politica e a un sistema elettorale che potesse garantire maggioranze più solide. Tuttavia, molti dei suoi sforzi vennero ostacolati dalle divisioni interne al centro-sinistra e dalla costante pressione di un’opposizione che non aspettava altro che il suo errore.
Massimo D’Alema è stato una figura che ha diviso l’opinione pubblica. Da una parte, era apprezzato per la sua intelligenza politica e la sua capacità di gestire situazioni complesse; dall’altra, veniva criticato per il suo atteggiamento freddo e a volte distaccato, che lo faceva apparire lontano dalla gente. Mentre Berlusconi riusciva a conquistare le folle con il suo carisma, D’Alema preferiva la politica dei salotti e delle trattative riservate.
Un episodio emblematico riguarda una battuta di D’Alema, pronunciata durante un’intervista televisiva, quando gli chiesero perché non cercasse di essere più vicino alla gente. Lui rispose: "La politica non è un talent show. Non è necessario piacere a tutti." Era una frase che riassumeva bene il suo approccio: concreto, disincantato e lontano dal populismo.
Il governo D’Alema terminò nel 2000, quando le difficoltà interne alla sua coalizione e la crescente forza del centro-destra lo costrinsero a dimettersi. Dopo due anni di governo, D’Alema lasciò il posto a Giuliano Amato, consapevole che il centro-sinistra non era riuscito a consolidarsi come forza politica stabile.
Nonostante il suo mandato sia stato breve e segnato da numerose difficoltà, D’Alema ha lasciato un segno importante nella storia politica italiana, rappresentando una transizione cruciale per la sinistra italiana. Fu il simbolo di un partito che aveva abbandonato definitivamente il comunismo per abbracciare una visione più moderna e riformista.
Con la fine del governo D’Alema, il centro-sinistra si trovò ancora una volta diviso e indebolito, mentre Silvio Berlusconi si preparava al suo grande ritorno al potere. Il 2001 sarebbe stato l’anno della svolta, con la vittoria di Berlusconi alle elezioni e l’inizio di uno dei periodi più intensi e controversi della storia recente italiana. Ma prima di tornare a parlare di Berlusconi, nel prossimo episodio ci concentreremo su Giuliano Amato, che per la seconda volta si troverà a guidare l’Italia in una fase delicata. Il “Dottor Sottile” tornerà con la sua abilità da tecnocrate per cercare di raddrizzare un Paese ancora in bilico. Ma come sempre, nulla sarà semplice...