Se esiste una festa che sfugge all’apparente linearità del calendario, è senza dubbio la Pasqua. Essa si colloca in un alveo temporale mobile, quasi fosse un astro errante, ma in realtà risponde a una regola antica che intreccia scienza e fede, cielo e terra, storia umana ed eternità.
La determinazione della data pasquale è frutto di un preciso sistema di calcoli astronomici e di deliberazioni conciliari: un computus che affonda le proprie radici nel Concilio di Nicea del 325 d.C. La formula, almeno in linea teorica, è nitida: la Pasqua cade la prima domenica dopo il primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera, convenzionalmente fissato al 21 marzo. Di conseguenza, la solennità può oscillare fra il 22 marzo e il 25 aprile, in un ventaglio temporale che manifesta la volontà della Chiesa antica di uniformare la celebrazione della Resurrezione di Cristo.
Tuttavia, l’applicazione di questa regola non è mai stata priva di controversie. Con il passaggio dal calendario giuliano a quello gregoriano — sancito dalla bolla papale di Papa Gregorio XIII nel 1582 per correggere lo sfasamento accumulato rispetto al vero corso solare — si aprì una divaricazione con le Chiese orientali, che ancora oggi seguono il calendario giuliano “non riformato”. L’etimologia stessa del termine “calendario” rinvia a una prassi antica: dal latino calendae, primo giorno del mese nel computo romano, quando si rendevano noti i debiti da pagare. In un certo senso, anche la Pasqua è un “saldo” escatologico: il compimento di una promessa di redenzione.
Non meno complesso è il legame tra Pasqua e Carnevale, residuo di arcaiche festività pagane e porta d’accesso alle penitenze quaresimali. Il Martedì Grasso, apice di queste celebrazioni, cade esattamente 47 giorni prima della Pasqua, ultimo atto di un rituale del piacere che prelude all’astinenza. Il termine “Carnevale” — dal latino carnem levare — indicava appunto l’“eliminazione della carne”, in ossequio ai precetti quaresimali che si sarebbero di lì a poco inaugurati. Anche il Giovedì Grasso rientra in questa liturgia del passaggio, unendo giubilo e ascesi in un alternarsi ciclico di concessioni e privazioni.
La ragione di tale complessità risiede nel fatto che la Pasqua non segue un calendario esclusivamente solare — come il Natale, che ricorre sempre il 25 dicembre — bensì un criterio lunisolare, affine a quello ebraico. E non a caso, poiché la Pasqua cristiana discende dalla “Pesach” ebraica, la festa del passaggio e della liberazione degli Israeliti dall’Egitto. Il termine “Pasqua” (in latino Pascha, a sua volta dal greco antico ??s?a) proviene dall’ebraico Pèsach, che significa appunto “passaggio”. È un transito, un attraversamento simbolico che ci richiama all’Esodo biblico, e insieme un varco verso la dimensione del sacro.
In epoca contemporanea, la data della Pasqua rimane motivo di disaccordo fra le diverse confessioni cristiane, mentre procedono tentativi ecumenici di trovare un’unica data condivisa. Nell’attesa di un’eventuale riforma unificatrice, continuiamo a interpellare il calendario per scoprire quando cadrà la Domenica di Resurrezione. Ma, al di là dei calcoli e del computus, la Pasqua continua a testimoniare l’anelito profondo dell’umanità: come la luna, essa ci rammenta i cicli di luce e di buio che attraversano l’esistenza, invitandoci a un rinnovamento perpetuo, a varcare la soglia del tempo profano per immergerci in quello sacro.