Era attesa da tanto, alcuni la aspettavano da sempre. L’ultima vittoria di un tennista italiano in un grande torneo in Italia risaliva a mezzo secolo fa (Adriano Panatta, Internazionali ‘76). Molti dei nuovi adepti di Jannik Sinner non erano nemmeno nati. Eccola, è arrivata. Ed è bellissima. Sinner ha battuto in finale lo statunitense Taylor Fritz con il punteggio di 6-4 6-4 e si è preso anche le Atp Finals, il torneo dei “maestri” che vede sventolare per la prima volta il tricolore, per di più nella bellissima cornice dell’Inalpi Arena di Torino, ribollente di 12mila cuori.
Che poi, a pensarci bene, non è una prima volta, ma un capitolo intermedio di un romanzo già ricco di emozioni, iniziato, per i pionieri della Sinnermania, con la vittoria nella Next Gen 2019 e, per il popolo trasversale che ormai ondeggia a milioni, con la fantastica volata in coda alla stagione 2023 (finale persa alle Finals contro Djokovic, vittoria in Coppa Davis), e proseguito con la consacrazione di quest’anno: Australian Open, primo posto mondiale, Us Open, e poi 3 Masters 1000 e il trionfo qui a Torino, per un totale di 8 tornei vinti. E ora ci sono le finali di Coppa Davis a Malaga per uno storico bis.
Sinner chiude un anno fantastico nel circuito diventando il primo giocatore a vincere 70 incontri e a conquistare 8 trofei da Murray nel 2016 (78 vittorie, 9 titoli).
Una recita da protagonista dipanata lungo tutta la stagione (solo 6 sconfitte) ma divenuta un monologo negli ultimi mesi, come certifica il filotto di 11 partite vinte consecutive e di 26 successi negli ultimi 27 match (unico k.o. quello contro Alcaraz in finale a Pechino). A Torino, con la spinta del pubblico di casa, è stata impressionante la dimostrazione di superiorità di fronte ai top player. Messi al tappeto, nell’ordine, il n.9 al mondo De Minaur, il n.5 Fritz, il n.4 Medvedev, il n.7 Ruud e ancora Fritz (che da domani scavalcherà Medvedev in classifica), in 6 ore e 52 minuti. “Jannik non ti lascia respirare”, aveva detto ieri Ruud dopo essere stato preso a pallate. Così è stato anche nell’atto conclusivo.