Se c’è una costante in questo Cagliari, è la voglia di provarci fino alla fine. Peccato che, oltre
all’impegno, servano anche organizzazione e qualità, due elementi che continuano a latitare. Contro
la Lazio la squadra ha lottato, ha mostrato sprazzi di carattere, ma alla fine si è arresa sotto il peso
delle sue solite fragilità. Un copione già visto troppe volte.
Caprile ha fatto il possibile e anche di più, evitando un passivo più pesante con interventi da
applausi. Nulla ha potuto sui gol subiti, ma senza di lui la partita sarebbe finita molto prima.
In difesa, Augello è partito con buone intenzioni, salvo poi spegnersi lentamente. Luperto ha tenuto
in piedi la baracca fino a un certo punto, poi ha iniziato a perdere gli avversari di vista. Mina,
invece, si è trovato in una posizione più avanzata rispetto al solito, lasciando dietro di sé praterie
che la Lazio ha sfruttato senza pietà.
Un errore tattico che è costato caro e che ha consegnato la
partita agli avversari.
Zappa ha cercato di metterci anima e corpo, ma con scarsi risultati. L’ingresso di Pavoletti è stato
talmente ininfluente da passare quasi inosservato.
Felici è stato tra i pochi a creare scompiglio sulla fascia, ma la sua generosità non è stata
accompagnata dalla precisione. Adopo e Makoumbou hanno rincorso gli avversari più che proporre
gioco, mentre Viola, almeno, ha messo lo zampino sul gol rossoblù con un corner perfetto.
Piccoli, questa volta, ha abbinato alla solita dedizione anche la concretezza, trovando il gol del
pareggio. Peccato che intorno a lui mancasse il supporto necessario per cambiare l’inerzia
della gara.
Sul fronte delle scelte, Nicola ha dato un’identità alla squadra, ma ha commesso l’errore di inserire
Kingston troppo tardi, quando la partita aveva già preso una piega sfavorevole. Una sostituzione
anticipata di 10-15 minuti avrebbe potuto fare la differenza. Però va riconosciuto un
merito: stavolta ha parlato chiaro, ammettendo in conferenza stampa che non gli è stato preso
ciò che aveva richiesto. Già nei match precedenti aveva lasciato intendere di avere le mani legate,
ma stavolta non ha lasciato spazio a interpretazioni.
Ed eccoci al nodo cruciale: il mercato.
Se qualcuno sperava in rinforzi all’altezza, avrà ricevuto
l’ennesima delusione. Due prestiti in entrata: uno valido, ma destinato a tornare alla base perché
costa troppo, e l’altro prelevato dal Qatar, come se la Serie A fosse il posto ideale per simili
scommesse.
Serviva una punta centrale? È arrivato un esterno d’attacco.
Serviva un terzino per rimpiazzare Azzi? Non pervenuto.
Ma se in entrata ci si è mossi a tentoni, in uscita si è fatto eccome: il problema è che l’unico
risultato è stato quello di indebolire ulteriormente la rosa. E ora? Contestare è rischioso, strappare
gli abbonamenti è inutile perché il danno è già fatto. Dopo 11 anni di questa storia, viene da
chiedersi: perché si continua a fare gli abbonamenti a giugno, sapendo come andrà a finire? È
forse una sorta di sindrome di Stoccolma calcistica che ci porta a credere, ogni volta, che la
prossima stagione sarà diversa?
La realtà è che la squadra lotta, ma paga scelte sbagliate. L’allenatore cerca di dare un’identità,
ma senza i giocatori giusti. Il mercato è stato disastroso. E l’epilogo? Lo stesso di sempre.