In un contesto internazionale segnato dall’endemica instabilità dell’area balcanica, la recente spinta verso una più proficua interazione turistica tra la Sardegna e alcuni Paesi dell’ex Jugoslavia — in particolare la Serbia, con il nuovo collegamento aereo tra Belgrado e Alghero — svela la duplice natura di tale Regione e, per estensione, dell’Italia tutta: da un lato, desiderosa di intercettare segmenti emergenti di un mercato in crescita; dall’altro, immersa in una complessa rete di relazioni geopolitiche in cui la “polveriera balcanica” permane tutt’altro che disinnescata. La Sardegna, storicamente più avvezza a flussi turistici provenienti dall’Europa continentale e settentrionale, guarda oggi con rinnovato interesse all’Est Europa. Questo slancio s’inquadra in un disegno nazionale che, pur privilegiando la dimensione economica (come appunto l’industria turistica), non può prescindere dalle pluridecennali manovre strategiche che l’Italia conduce nello scacchiere balcanico. Un territorio, quello al di là dell’Adriatico, che permane strategico tanto per Roma quanto per Bruxelles, ancor più nel contesto della crisi russo-ucraina, foriera di tensioni e mutamenti degli equilibri di potenza.
La cosiddetta “rotta balcanica” si dipana non solo in termini di mobilità umana — basti pensare ai tentativi del Governo nazionale di trovare un’intesa con l’Albania riguardo ai migranti, ipotizzando veri e propri centri di accoglienza in territorio balcanico — ma anche per l’estensione, spesso carsica, dell’influenza di grandi attori globali: l’Aquila statunitense, l’Orso russo e il Dragone cinese. Ciascuno di essi mantiene un vivo interesse per la penisola balcanica, crocevia ineludibile lungo le direttive energetiche e commerciali che collegano l’Europa centrale e occidentale al Mediterraneo Orientale. Non a caso, la Serbia, pur avviata da tempo su un sentiero di progressivo avvicinamento all’Unione Europea, non disdegna il sostegno russo, tradizionalmente radicato in fattori storici e religiosi, né le aperture verso gli ingenti investimenti infrastrutturali cinesi, veicolati dalla Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative). Tale molteplicità di referenti esterni non fa che accentuare la condizione dei Balcani quale “cerniera” tra sfere d’influenza potenzialmente confliggenti.
In questo quadro, l’Italia — e la Sardegna quale avamposto simbolico nel Mediterraneo — tenta di instaurare legami che favoriscano la stabilità dell’area. L’intento è di agganciarsi ai processi di crescita economica dei Paesi balcanici, incentivando la scoperta delle coste sarde e, al contempo, proponendo un modello di collaborazione in grado di mitigare il potenziale esplosivo insito nelle tensioni etniche, politiche e religiose che ancora serpeggiano in regioni come il Kosovo e la Bosnia-Erzegovina. La questione migratoria, in parallelo, rappresenta l’altra faccia della medaglia: la ricerca di accordi di contenimento in Albania e dintorni è percepita come uno strumento urgente per alleggerire la pressione sui confini italiani e comunitari, in un momento in cui l’Europa, benché formalmente unita, continua a manifestare divergenze profonde sulla governance dei flussi migratori. La vicinanza geografica e gli interessi storici dell’Italia, un tempo potenza di riferimento su entrambe le sponde dell’Adriatico, si mescolano oggi a un più vasto disegno strategico che tenta di tenere insieme esigenze di sicurezza, opportunità economiche e la necessità di presidiare il margine sud-orientale dell’Unione Europea.
La “penetrazione turistica” sarda in Serbia, quindi, costituisce un banco di prova per testare la capacità del sistema Italia di rapportarsi con dinamiche geopolitiche sfaccettate: da un lato, sostenere l’integrazione dei Balcani occidentali nel tessuto europeo; dall’altro, fronteggiare l’insinuarsi di potenze extraregionali che potrebbero ridefinire gli equilibri anche in ambito mediterraneo. In tale cornice, la cooperazione tra Sardegna e Serbia sulla rotta aerea Belgrado-Alghero è più di una semplice operazione commerciale: diviene un tassello simbolico di una strategia più ampia, in cui Roma ambisce a consolidare il proprio ruolo di “ponte” — e talora di “guardiano” — tra l’Occidente e un quadrante balcanico che pare rimasto ancorato al suo destino di delicato incrocio tra culture, religioni e ambizioni imperiali di segno variegato. Se il Dragone mira a costruire infrastrutture e catene logistiche, l’Orso scommette sul legame identitario e religioso, mentre l’Aquila non abdica al suo storico ruolo di pivot atlantico nella regione. L’Italia, nel mezzo, si ritrova a perseguire sia un incremento dei propri scambi turistici e commerciali — come nel caso della Sardegna — sia una posizione di moderazione geopolitica, non priva di contraddizioni. Lo scenario, nel complesso, è quello di un Mediterraneo allargato che mai come ora risente delle fibrillazioni provenienti dal conflitto russo-ucraino, destinato con ogni probabilità a rimodellare le sfere d’influenza e le direttrici d’accesso alle rotte migratorie. Il futuro dei rapporti tra Italia e Balcani, così ricchi di potenziali sviluppi ma anche soggetti a rischi di escalation, si gioca dunque su più piani: diplomatico, economico, culturale e, inevitabilmente, militare-strategico. In mezzo a tali scacchiere, la Sardegna, nell’apparente linearità di una mossa di marketing territoriale, svela il tentativo italico di riattivare antichi canali d’influenza mediterranei, puntando a trasformare i “viaggi di piacere” in un veicolo di più ampie opportunità di cooperazione, ben oltre il profilo del turismo balneare.