Cade il 27 febbraio e segna l'inizio dei giorni clou del Carnevale, fino al Martedì Grasso. Il Giovedì Grasso è tradizionalmente uno dei giorni più importanti del Carnevale. Si tratta del giovedì che apre i sei giorni più intensi, fatti di feste, giochi, maschere, e che si celebrano in tutto il mondo. Ma perché si chiama Giovedì Grasso? Quando cade e cosa si fa?
Giovedì Grasso nel 2025 cade il 27 febbraio. Si tratta del primo dei sei giorni più intensi del Carnevale, che hanno il loro clou nella domenica successiva e soprattutto nel Martedì Grasso. Quest’ultimo, quest’anno, è il 4 marzo e si tratta del giorno precedente al Mercoledì delle Ceneri, che per il rito romano rappresenta l’avvio della Quaresima. Il Giovedì Grasso in passato aveva la stessa “funzione” del Martedì successivo. I cittadini di ogni classe sociale si riunivano per mangiare tutto ciò che potevano, soprattutto la carne di maiale, prima del digiuno quaresimale, che durava (e dura ancora oggi) dai 40 ai 44 giorni.
Ma il giorno principale del Carnevale resta il Martedì Grasso.
Già prima dell’avvento del Cattolicesimo e dell’ufficialità data alla giornata che anticipa il Mercoledì delle Ceneri, si trattava di un momento importante per la società. Nell’antica Roma e nell’antica Grecia, infatti, il periodo di Carnevale, originariamente associato ai Saturnali o alle feste dionisiache, si chiudeva proprio con una grande festa in cui tutti potevano mangiare in abbondanza, senza distinzioni di classi sociali. Da qui deriva non solo il nome di Martedì grasso ma anche quello del Carnevale stesso. La parola risale al XIII secolo e deriva dal latino carnem levare, cioè eliminare la carne, associando questo periodi di abbuffate a quello di digiuno della Quaresima.
Il periodo di Carnevale, che ogni anno cambia date, si chiude sempre con il Martedì grasso. Si tratta del giorno finale delle celebrazioni, quello che precede il Mercoledì delle Ceneri e quindi l’avvio della Quaresima. Il nome Martedì grasso deriva proprio dall’usanza di abbondare nel consumo di alcuni cibi, prima del periodo di Quaresima durante il quale, invece, si praticavano astinenza e digiuno. Per questo alla vigilia del Mercoledì delle Cenere l’usanza prevedeva di mangiare tutti i cibi più prelibati rimasti in casa, vietati nei 40 giorni successivi. Su tutti la carne, alimento proibiti nelle settimane prima di Pasqua, soprattutto di maiale. Questo perché nel periodo di Natale e nei primi mesi dell’inverno tra i contadini era ben radicata l’usanza di uccidere i maiali. Così nel periodo di Carnevale, e appunto fino al Martedì grasso, la tradizione prevedeva di assaggiare le salsicce e i salumi.
Ma già prima dell’ufficialità data dal Cattolicesimo, che risale al 1400 circa. Già nell’antica Roma e nell’antica Grecia, infatti, il periodo di Carnevale, originariamente associato ai Saturnali o alle feste dionisiache, si chiudeva proprio con una grande festa in cui tutti potevano mangiare in abbondanza, senza distinzioni di classi sociali. Da qui deriva non solo il nome di Martedì grasso ma anche quello del Carnevale stesso.
La parola risale al XIII secolo e deriva dal latino carnem levare, cioè eliminare la carne, associando questo periodi di abbuffate a quello di digiuno della Quaresima.
Quindi il cibo classico del Martedì grasso è la carne di maiale, sotto forma di salumi, salsicce e altri tagli. In alcune Regioni si sono abbinati per secoli piatti a base legumi, in altre, invece, primi piatti come le lasagne, classiche o alla napoletana. E ancora pasta fresca e maccheroni con il sugo di maiale, tradizionali soprattutto in Sicilia, Calabria e Basilicata. Immancabili i fritti, come le zeppole napoletane, i panzerotti pugliesi, i calzoni e le torte salate. Tra i dolci, invece, spiccano le chiacchiere in ogni parte d’Italia. Ci sono anche le fritole a Venezia, i mignozzi in Abruzzo e molti altri.
Un’antica tradizione legata al Martedì grasso, inoltre, è quella del mangiare nove volte. In pratica si mangiavano nove bocconi di nove piatti diversi, passando dalle verdure alle uova, oltre a pasta, salsiccia e carne, legumi, fritti e dolci e altro che veniva cucinato. Oppure si imbandiva la tavola e si mangiava nove volte durante tutto l’arco della giornata. L’usanza, che adesso si è persa, è rimasta in voga fino agli inizio del ‘900 e variava da Regione in Regione.