"Il coraggio non è semplicemente una delle virtù, ma la forma di ogni virtù al punto di prova."
(G. K. Chesterton).
Il Cagliari ha scelto la sera di Verona per mostrare che il coraggio, alla fine, paga.
Non c'era altro modo per uscire indenni — e vittoriosi — da una partita nata storta come un albero
nel maestrale: primi dodici minuti da far tremare i polsi, Verona a spingere, Cagliari a barcollare
come un pugile colpito a freddo. Ma, come nelle storie che resistono al tempo, la svolta è arrivata
da chi, più volte, sembrava destinato all'oblio.
Leonardo Pavoletti, l'uomo che non voleva saperne di arrendersi all'anagrafe e alle panchine, ha
raccolto l'assist di Luvumbo con la fame dei giorni migliori e ha trafitto Montipò con una zampata
che profuma di redenzione. Come a Bari.
Più tardi, a chiudere il cerchio, ci ha pensato Alessandro Deiola, figlio discusso di quest'isola eterna
e passionale, scappando in contropiede e infilando il pallone sotto la traversa come a suggellare la
promessa: "Non finisce finché non finisce."
La partita si è giocata, al Bentegodi, il 29 aprile 2025, sotto un cielo che sembrava
trattenere il respiro. Un luogo ostile per i rossoblù, se si pensa che l'ultima vittoria in casa del
Verona mancava addirittura dal 1972: quando ancora i pantaloncini erano cortissimi e i tabelloni dei
risultati si giravano a mano.
Eppure, nella storia, certi misteriosi equilibri si ripetono. Anche stavolta, il Cagliari ha rispettato il
suo personale rito di imbattibilità “santa”: ogni volta che, nella storia recente, un Papa veniva a
mancare e le due squadre si trovavano nello stesso campionato, i rossoblù non hanno mai perso
contro l’Hellas. Dal 1958, in corrispondenza della morte di Pio XII, passando per il 1978 e il 2005,
fino ad arrivare ai giorni nostri: contro il Verona, l’anno della morte del Papa, il Cagliari resta
imbattuto.
E, forse, non è solo una coincidenza. Come disse Seneca, "La fortuna aiuta gli audaci", e ieri sera
l'audacia dei sardi è stata lampante.
Il contesto non era dei più semplici. Senza Piccoli, squalificato, e senza Mina, fermato da un
infortunio muscolare, il Cagliari sembrava destinato a reggere il fortino con le pezze. E dopo i primi
minuti di sofferenza, tra fallacci da far inorridire i codici sportivi — un brutto colpo alla coscia
per Gaetano, un naso spaccato a Zappa — i rossoblù hanno invece risposto con la forza delle
idee chiare e dei nervi saldi. Nicola, regista silenzioso ma lucido, ha saputo cucire la squadra come
un sarto esperto che aggiusta l’abito anche sotto la pioggia.
Caprile, quando chiamato in causa, si è comportato da notaio più che da portiere, certificando senza
sbavature il dominio territoriale dei suoi. Palomino e Luperto hanno retto l’urto senza far
rimpiangere il gigante colombiano, Adopo ha macinato metri come un aratro instancabile. E quando
serviva sacrificio, Makoumbou e Marin hanno saputo sporcare il gioco altrui con la discrezione
degli uomini di fatica, quelli che spesso non finiscono in copertina ma senza i quali non si
costruiscono imprese.
Luvumbo, a corrente alternata come sempre, ha stavolta centrato la serata giusta, e il suo assist per
Pavoletti è stato un arcobaleno tra le nubi.
Zortea ha faticato a trovare la misura, ma il collettivo ha
compensato. I cambi hanno chiuso la partita con la precisione di chi conosce già la fine del libro:
Deiola e Gaetano, in particolare, hanno scritto l’ultimo capitolo con la calma dei narratori
consumati.
Ma, più di tutto, è emersa una qualità rara in questi tempi di frenesia:
la capacità di soffrire senza smarrirsi, di attendere senza disperarsi, di colpire con ferocia quando
l’occasione si è presentata.
È così che il Cagliari si è preso tre punti che profumano di salvezza. Non con l’arte del fioretto, ma
con il coraggio della sciabola.
Alla fine, resta l’immagine di Pavoletti che esulta guardando il cielo, quasi a ringraziare qualcuno o
qualcosa oltre il Bentegodi, e quella di Deiola che corre, con un sorriso largo quanto il
Mediterraneo.
Perché, come scrisse una volta Victor Hugo, "Nulla al mondo è più potente di un'idea il cui tempo è
giunto."
E forse, stanotte, per il Cagliari, era semplicemente il tempo di vincere.