Tra due giorni, Donald Trump tornerà alla Casa Bianca. Il suo nuovo mandato, lungi dall’essere una semplice continuazione di quello precedente, incarna una mutazione della strategia americana, plasmata dalla convinzione che il multipolarismo non possa essere domato, ma vada sfruttato a vantaggio di Washington. La logica trumpiana, che rifiuta la morale del multilateralismo post-bellico, si fonda sull’assunto che il potere non sia mai condiviso ma esercitato unilateralmente.
L’Indo-Pacifico sarà il teatro primario della nuova amministrazione, con la Cina riconosciuta come avversario sistemico. L’annuncio di ulteriori tariffe punitive sulle merci cinesi, accompagnato dalla volontà di limitare l’accesso di Pechino alle tecnologie strategiche occidentali, non è solo una manovra economica ma un tassello di una più ampia architettura geopolitica. La politica di disaccoppiamento economico, già avviata nel primo mandato, si intensificherà, puntando a strangolare l’interdipendenza con la Cina.
Questo conflitto non si limita al commercio o alla tecnologia, ma si estende al controllo delle rotte marittime nell’Indo-Pacifico, con implicazioni che trascendono il confronto diretto.
L’Europa, come spesso accade nelle dinamiche americane, verrà trattata non come un partner paritario ma come uno strumento. La NATO, già oggetto di profonde critiche durante il primo mandato, sarà ulteriormente subordinata alle esigenze americane. Trump non cercherà di smantellarla, ma di piegarla a una logica di bilateralismo strumentale, esigendo maggiori contributi economici dagli alleati europei e subordinandone l’esistenza alle necessità strategiche degli Stati Uniti.
Il rapporto con la Russia, invece, sarà governato da una logica ambivalente. Pur mantenendo una postura di contenimento nei confronti di Mosca, Trump potrebbe perseguire intese tattiche su dossier specifici come il Medio Oriente e l’energia, laddove convergono gli interessi delle due potenze. Questo approccio, già sperimentato nel primo mandato, riflette la convinzione trumpiana che i nemici possano essere utili nel breve termine, purché non compromettano la superiorità americana.
Internamente, la politica di reshoring sarà rafforzata. Trump intende riportare negli Stati Uniti le filiere produttive strategiche, puntando a una rinazionalizzazione dell’industria americana. Questa strategia, apparentemente protezionistica, nasconde una dimensione imperiale: controllare non solo il mercato interno, ma le catene produttive globali, subordinando gli attori economici al primato americano.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca si inserisce in un sistema internazionale che si è progressivamente frammentato. Lungi dal cercare di ricostruire un ordine globale condiviso, gli Stati Uniti punteranno a dominare il caos, sfruttandolo come un’opportunità. Il pragmatismo imperiale trumpiano non offre illusioni di universalismo, ma riconosce nella politica di potenza l’unico strumento efficace per preservare l’egemonia americana in un mondo disordinato.