Intervista all'autore

"Nessuno si accorge di niente": A cuore aperto con Werner Viola sulla depressione invisibile

  La depressione è un male silenzioso che spesso passa inosservato agli occhi di chi ci circonda. Werner Viola, autore del libro "Nessuno si accorge di niente", ci offre una rappresentazione autentica e accessibile di questa condizione attraverso la vita di Luca, guardiano del cimitero di Milano. Ho incontrato Werner per approfondire le tematiche del suo romanzo e la sua esperienza personale. 

  Qual è stata la genesi dell'opera? "Guarda è molto più semplice di quanto si possa pensare. È il titolo di una canzone di un gruppo italiano sconosciuto degli anni '90, i Fluxus: 'Mentre nessuno si accorge di niente'. Ascoltavo questa canzone da ragazzo. Per quanto riguarda la decisione di scrivere questo libro, ho sempre scritto ma non avevo mai pubblicato. Qualche anno fa, mentre ero seduto al bar con dei miei amici, è nato tutto. Parlando del più e del meno, mi dissero: 'Chi sta meglio di te, Werner? Hai un bel lavoro, il posto fisso, una casa, una bella ragazza, sei simpatico e intelligente, non ti manca niente'. Mi misero al primo posto nella loro classifica di benessere. Ma in realtà, dentro di me stavo malissimo per una serie di motivi, e mi resi conto che nessuno si accorgeva di niente. Lì scoccò la scintilla per scrivere il libro."

  Nel testo tieni molto a distinguere tristezza e depressione, sottolineando come il termine sia spesso abusato. "Sì, la depressione deriva da te stesso; la tristezza viene dalle circostanze intorno a te. La depressione può essere curabile o meno, dipende dai casi, ma non ha nulla a che fare con la tristezza. Viviamo una generazione nella quale il termine 'depressione' viene usato a sproposito, anche solo per esprimere il non voler fare qualcosa: 'Sono depresso, non voglio farlo'. Questo è un uso errato." 

  Magari abusiamo del termine perché siamo frustrati dalla condizione che viviamo e la confondiamo con uno stato interiore di tristezza, data la frequenza con cui si manifesta. È interessante notare che le persone tristi, infatti, quando superano il problema, non lo sono più. La depressione, invece, porta al fatto che puoi non avere problemi ma stare male comunque? "Sì, in termini medici si chiama anedonia: una persona che non riesce a sentire nulla, che non prova piacere, e questo va a braccetto con la depressione. Il fatto che, come dice Luca nel romanzo, 'tutto è buono' riferito al cibo, anche se non è vero, perché non sente nulla. 

  Ritornando alla genesi dell'opera, hai vissuto personalmente la depressione? "È una condizione che ho sofferto attivamente per anni, sin dall'infanzia me la sono trascinata dietro parecchio. Oggi, a 37 anni, ho una sensibilità diversa; sono andato in terapia, prendo dei farmaci e sto meglio, ma so che è sempre lì, nascosta dentro di me, pronta a saltare fuori. Mi sono stabilizzato d'umore, ma certe cose le hai dentro." Eppure nessuno si accorgeva di niente? "Eh sì, spesso ce ne vergogniamo, lo nascondiamo, non diciamo di prendere farmaci. Lo si vive come un sintomo di debolezza, ma non oggi, non a 37 anni. Pesa molto la questione sociale." 

  Nel romanzo, Luca dà del 'lei' al suo dottore. È una distanza che hai vissuto anche tu? "Sì, Luca crea questo distacco perché sa che deve andare in terapia ma è consapevole che non si risolverà nulla. Lo fa come un costrutto sociale" 

  È stato impegnativo tirare fuori quest'opera? "Sì, non tanto per scriverla, ma perché volevo renderla il più discorsiva possibile. Un tema pesante come questo doveva essere accessibile anche a un ragazzo di seconda superiore. Non volevo fare qualcosa di complicato; lo scopo era raggiungere anche chi non legge, magari per colpire chi è affetto da queste patologie e dargli un supporto in qualche modo. Volevo scriverlo leggero nella sua pesantezza, arrivando al pubblico più giovane." Infatti, il tema non viene sviscerato con troppa profondità e rigore. Anche per questo, come medicinale parli solo dello Xanax che è somministrato per gestire l'ansia? "Sì, ho menzionato il farmaco più noto, di cui tutti parlano, il farmaco mainstream." 

  Stai avendo riscontri dal pubblico? "Sì e mi stupisco di questo. Ho venduto più di mille copie e sono sorpreso perché non ho sponsorizzato il libro, non ho fatto nulla. Solo passaparola. Ogni mese riesco a vendere 50 o 60 copie. Vengo contattato da chi ha letto il libro e vuole parlare del tema. Sono contento." 

  Ci racconti qualcosa in più di te? "Sono Werner Viola, ho 37 anni e vengo da Napoli. Fino ai 27 anni ho frequentato l'università, studiavo lingue e letterature moderne, ma non ho completato gli studi perché ho dovuto iniziare a lavorare. Mio padre non era contento che mi laureassi, non poteva permettersi l'università. L'ambiente a casa non era molto sereno, così ho mollato. Ho studiato per conto mio, ho fatto il cameriere e ho ottenuto il livello C1 in inglese e B2 in francese. Nel 2015 ho trovato lavoro al Duomo di Milano grazie a questi titoli e dopo due o tre anni mi hanno stabilizzato a tempo indeterminato. Il lavoro è stressante per il contatto continuo con il pubblico ma sto meglio. Attualmente vivo a Milano." Come mai il nome Werner? "Mio padre è un ex pilota dell'Alitalia, ha viaggiato per quarant'anni e ha chiamato tutti i figli con nomi che iniziano con la doppia W: Walter, William e Werner. Il quarto figlio voleva chiamarlo Wagner, ma non è arrivato. E siamo napoletani da generazioni." 

  Il tema delle panchine, presente anche nella copertina, serve per fermarsi in un mondo che corre? "Sì, lo si vede dalla copertina: la mezza panchina con il cielo plumbeo. L'ho scelta perché mi rappresenta molto sedermi sulle panchine di Milano e riflettere."

  Si conclude così la mia intervista all'autore, con una presentazione dello stesso che arriva solo alla fine, mettendolo quasi in ombra perché ciò che conta è il messaggio, non l'autore, è di quello che bisogna accorgersi. Grazie, Werner, per aver trattato tematiche così dure con semplicità. Se "Nessuno si accorge di niente", ebbene noi ci siamo accorti della tua opera e vogliamo che qualcosa cambi sulla percezione della depressione, sul fatto che non sia uno scherzo, che non venga confusa con la tristezza e che non sia vista come un male invisibile di cui non si può parlare e per la quale non basta la sola determinazione per conviverci come non basterebbe la determinazione per convivere con l'asma o con il diabete.

  Werner Viola continua a lavorare al Duomo di Milano, vivendo tra le strade della città che fanno da sfondo alle sue riflessioni e alle pagine dei suoi libri. Ci invita a fermarci, magari seduti su una panchina, ad osservare e a riconoscere quei segnali che spesso ignoriamo, perché, a volte, basta accorgersi di qualcosa per fare la differenza nella vita di qualcuno anche quando invece sembra che nessuno si accorga di niente.

L'Intervista

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