L'Italia tra mito e realtà, capitolo 7: Servio Tullio - Il re delle riforme

  Quando Tarquinio Prisco fu assassinato, lasciando Roma in subbuglio, la città si trovò in mano a un uomo che, per molti versi, non avrebbe dovuto essere lì: Servio Tullio. Eppure, come spesso accade nella storia di Roma, sono i destini più improbabili a lasciare il segno più profondo. Servio non era nato su un trono, anzi, non era nemmeno nato libero. Figlio di Ocrisia, una schiava prigioniera di guerra, crebbe nel palazzo reale come un outsider. Eppure, la sua ascesa al potere non fu dettata solo dal caso, ma da quel misto di fortuna e astuzia che spesso accompagna i grandi leader. E qui entra in gioco Tanaquilla, la regina che, vedendo una fiamma avvolgere la testa del giovane Servio senza bruciarlo, decise che quel ragazzo non era destinato a restare nell’ombra. La strada per il trono fu tutto fuorché lineare. 

  Quando Tarquinio Prisco cadde sotto i colpi dei sicari, Tanaquilla, con la freddezza di una regista consumata, orchestrò il passaggio di potere come se fosse una commedia di Plauto. Mentre il corpo del re giaceva ancora caldo, lei annunciò che Tarquinio era malato ma vivo, e intanto mise in gioco Servio, preparandolo per la scena finale: quella della sua proclamazione a re. Servio Tullio, l’uomo che nessuno aveva previsto, si trovò così a guidare Roma. E lo fece con una visione che andava ben oltre quella dei suoi predecessori. Se Romolo e gli altri avevano costruito le mura della città, Servio costruì quelle dell’ordine sociale. E lo fece con le sue riforme, che più che leggi sembravano architetture: solide, imponenti, destinate a durare. La riforma centuriata fu la sua opera maestra, un capolavoro di ingegneria politica. Dividere i cittadini per censo e distribuirli in centurie fu un modo astuto per garantire che chi aveva più da perdere contribuisse di più. Ma attenzione: il vero colpo di genio stava nel modo in cui il potere veniva distribuito. 

  La nuova organizzazione prevedeva che tutti i cittadini fossero suddivisi in cinque classi, in base alla ricchezza. Ogni classe, poi, era divisa in centurie, che avevano il compito di votare nelle assemblee. Il trucco stava nel fatto che le prime due classi, quelle più ricche, da sole contavano per la maggior parte delle centurie. In pratica, le decisioni cruciali erano già prese prima che i poveri potessero dire la loro. Sì, i meno abbienti avevano un voto, ma quel voto arrivava solo se le classi più ricche non riuscivano a mettersi d'accordo – cosa che accadeva di rado. In un certo senso, Servio diede a tutti l’illusione di partecipare, ma il potere rimaneva saldamente nelle mani dei pochi.

  Poi c’era il censimento, un’invenzione di una modernità sorprendente. Sapere quanti erano, chi erano e quanto possedevano i cittadini non era solo una questione di controllo, ma di organizzazione. Roma cominciava a funzionare come un orologio svizzero – o meglio, come un orologio etrusco, data l’origine del re – con ogni rotella al suo posto, pronta a far girare la macchina della città. Servio, però, non si fermò qui. Non contento di ordinare i cittadini, si mise a ordinare anche la città stessa. Le Mura Serviane, che ampliavano il perimetro di Roma, furono il simbolo di questa espansione controllata. Sotto Servio, Roma non era più solo un’accozzaglia di villaggi sulle colline, ma una vera città, con un’identità e un destino chiari. Eppure, nonostante le sue riforme, Servio non aveva fatto i conti con l’invidia e l’ambizione di chi gli stava intorno. 

  Lucio Tarquinio, figlio del re assassinato, e sua moglie Tullia – figlia dello stesso Servio – avevano piani molto diversi per il futuro. E quando si tratta di potere, le alleanze di sangue contano poco. In una delle scene più crude della storia di Roma, Tullia, dopo aver orchestrato l’omicidio del padre, passò con il carro sul suo corpo. Un gesto che, seppur simbolico, segnò la fine brutale di un re che aveva cercato di dare a Roma l’ordine e la stabilità. Servio Tullio lasciò un’eredità complessa. Le sue riforme continuarono a influenzare Roma per secoli, anche se il suo regno finì nel sangue. Con lui, Roma aveva imparato che non bastava essere forti o astuti: bisognava essere organizzati. E, se possibile, sempre un passo avanti ai nemici – che spesso si nascondono proprio in casa.

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