L'Italia tra mito e realtà, capitolo 13: L’ascesa dei condottieri e le guerre contro i vicini

  Roma, nonostante i suoi equilibri interni precari, stava per affrontare il suo vero banco di prova. Non si trattava solo di contenere le tensioni tra patrizi e plebei, ma di guardare oltre le sue mura e affrontare i nemici che da sempre ne insidiavano la sicurezza. I Volsci, gli Equi, i Sabini: nomi che incutevano timore, popoli che non avevano nessuna intenzione di lasciare il passo a quella che consideravano ancora una città-stato come tante altre. Ma Roma, ormai, non era più disposta a subire. La giovane Repubblica si stava preparando a dimostrare di che pasta erano fatti i romani. Fu in questo contesto che emersero le figure dei grandi condottieri, uomini che incarnavano lo spirito della nuova Roma: coraggiosi, determinati, pronti a sacrificare tutto per la gloria della città.

  Tra questi, uno dei più emblematici fu Gaio Marcio Coriolano. Patrizio di nascita, Coriolano si fece presto un nome grazie al suo valore in battaglia. La sua impresa più celebre fu la conquista della città volsco di Corioli, che gli valse il soprannome con cui è passato alla storia. Coriolano, però, era un uomo complesso. Se da un lato rappresentava l’ideale del guerriero romano, dall’altro era un patrizio fiero, incapace di comprendere le esigenze dei plebei. Quando la plebe, stretta dalla fame, chiese la distribuzione del grano, Coriolano si oppose con feroce determinazione, temendo che tali concessioni avrebbero minato l’autorità dei patrizi. Questo scontro lo portò alla rovina: esiliato da Roma, Coriolano commise l’impensabile, alleandosi con i Volsci, i suoi antichi nemici, per vendicarsi della sua città. Per un momento, sembrò che Roma fosse perduta, ma grazie all’intervento di sua madre Veturia e delle matrone romane, Coriolano si fermò, dimostrando che, in fondo, l’amore per Roma era più forte dell’odio. Un traditore redento? Forse. O semplicemente un uomo travolto dalle sue stesse passioni. 

   Accanto a Coriolano, un’altra figura che dominò questo periodo fu Quinto Fabio Massimo. Se Coriolano era l’eroe impetuoso, Fabio era il calcolatore, lo stratega per eccellenza. Conosciuto come "il Temporeggiatore", Fabio capì che a volte la vittoria non si conquista con un assalto frontale, ma con l’attesa, la pazienza, logorando il nemico fino a costringerlo alla resa. La sua politica, inizialmente criticata per la sua apparente passività, si rivelò invece estremamente efficace, soprattutto nelle guerre contro gli Etruschi e i Latini. Fabio, con la sua famiglia, i Fabii, si affermò come uno dei pilastri della nascente Repubblica, dimostrando che la guerra è fatta non solo di forza, ma anche di astuzia. Mentre Roma consolidava il suo potere interno, le guerre esterne divennero il palcoscenico dove la Repubblica mise alla prova le sue nuove istituzioni e i suoi uomini. Le vittorie contro i Volsci e gli Equi, la conquista di città come Anzio, e la fondazione di colonie in territori conquistati, furono tappe fondamentali nella trasformazione di Roma da città-stato a potenza regionale. Ogni battaglia vinta rafforzava l’identità romana e, almeno temporaneamente, univa patrizi e plebei in un comune senso di appartenenza. Ma Roma, pur vittoriosa, sapeva che non poteva abbassare la guardia. I nemici erano ancora numerosi, e la prossima sfida all'orizzonte era la guerra contro Veio, una città etrusca che rappresentava una delle minacce più dure e complesse per la Repubblica. 

  Nel prossimo capitolo, vedremo come Roma, forte delle sue recenti vittorie, si preparò a sferrare un colpo decisivo contro Veio, dimostrando ancora una volta che la sua ambizione non conosceva limiti. La conquista di Veio avrebbe segnato l'inizio di un'espansione ancora più vasta, proiettando Roma verso il dominio dell'Italia centrale.

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