Immigrazione in Italia: l’inganno della percezione e il vuoto del dibattito politico

  L’immigrazione è senz’altro uno dei problemi di cui parliamo di più, di cui i media parlano di più, su cui molti partiti politici puntano per accrescere il proprio consenso elettorale, ma allo stesso tempo è anche uno dei temi di cui sappiamo di meno. Basta dire “Basta immigrazione, abbiamo uno Stato sociale al collasso” o “Qui bisogna interrompere quella che è un’invasione organizzata e pianificata”, e subito si alza un polverone. 

  Questa sarebbe un’invasione pianificata da qualcuno che ha intenzione di sostituire i lavoratori con altri lavoratori a basso costo. È un problema che, almeno in teoria, può accrescere il senso di insicurezza, il senso di perdita di coesione sociale. Ed è anche un problema che, su altri contesti europei. Oggi parliamo dell’Italia, che come vedremo vive una condizione peculiare e difficilmente paragonabile a quella di Paesi come Germania, Irlanda, Svezia o Danimarca, le cui condizioni son en note. Un problema centrale, dunque, ma che come vedremo conosciamo poco, perché abbiamo deciso di politicizzarlo, di ideologizzarlo, e di creare un contesto in cui i partiti politici possono sguazzare, dire tutto e il contrario di tutto senza dare conto delle loro scelte. 

  Senza emigranti, fra qualche decennio i Paesi europei saranno spopolati e abitati da anziani. Il dibattito invece viene polarizzato, e chi se ne occupa viene etichettato sempre o come buonista o come razzista. Ma qui, oggi, facciamo altro e cerchiamo di affrontare il problema da persone adulte, cosa che il dibattito politico in Italia non fa. In questo primo approfondimento facciamo una panoramica della situazione dell’immigrazione in Italia e cerchiamo di rispondere ad alcune domande. Quanti immigrati ci sono in Italia? Da dove vengono? Commettono più reati degli italiani? Quanti rifugiati ci sono e, soprattutto, sono tutti rifugiati legittimi o molti approfittano del sistema? Chi è ancora intrappolato nelle proprie casacche di partito, ora se ne spogli e segua il ragionamento. Per prima cosa creiamo il contesto da cui partire, cioè dal fatto che in Italia, più che in altri Paesi europei, la differenza tra immigrazione percepita e immigrazione reale è la più grande. Questa è la prova del fatto che conosciamo poco o niente del problema. Non sto usando questo dato per sminuire il fenomeno, anzi, seguitemi nel ragionamento perché non è così. Ma se vogliamo affrontarlo da persone adulte non possiamo prescinderne, non possiamo prescindere da questo dato.

  Prima cosa: l’Italia non è il Paese che accoglie di più in Europa e non è neanche tra i Paesi che accolgono di più in relazione alla popolazione, a differenza della retorica della nostra politica e di ciò che ci siamo detti per anni. Allo stesso tempo siamo il Paese che più di tutti considera i livelli di immigrazione come troppo alti. Infatti, per il 77% degli italiani il livello di immigrazione è troppo alto. Primo Paese in Europa. Nel Regno Unito, dove la percentuale di popolazione straniera è quasi il doppio rispetto all’Italia, l’immigrazione è considerata troppo alta solo per il 51%. Secondo un sondaggio del Sole 24 Ore, il 30% degli italiani pensa che il 50% degli ingressi nel Paese avvenga tramite sbarchi, cioè che un immigrato su due che arriva in Italia lo faccia con i barconi, quando invece la percentuale è del 15%. Inoltre, l’immigrazione percepita è del 31%, cioè gli italiani pensano che il 31% della popolazione presente in Italia sia immigrata, quando invece è il 9%. Per alcuni magari il 9% è già troppo e ci sta, ma qui sto discutendo della bassa conoscenza che abbiamo del fenomeno, non del fatto che il 9% sia troppo o no. E ora, detto questo, iniziamo ad affrontare alcuni punti più specifici, partendo dal fare la differenza tra migranti economici e rifugiati. Differenza che, tra l’altro, come Paese sottovalutiamo perché non conviene a nessuno dei partiti politici.

  Come vedremo più avanti, fare questa distinzione mette in crisi le narrazioni annacquate sia di destra che di sinistra. Facendo una distinzione tra migranti economici e rifugiati, infatti, la narrazione della destra si scontrerebbe col fatto che i migranti economici, cioè gli immigrati che arrivano in Italia e che lavorano, sono un fattore indispensabile per l’economia italiana, specialmente in alcuni settori come l’agricoltura, l’edilizia e i servizi alla persona. Quindi la destra, se accettasse questa distinzione, dovrebbe proporre politiche che incentivino l’asilo di questo tipo di immigrazione, ma figuriamoci se ci pensano anche solo lontanamente. Assolutamente no. D’altro canto, la narrazione della sinistra si scontrerebbe contro il fatto che non tutti i migranti portano benefici economici. Attrarre alcune tipologie di immigrati a basso reddito con famiglie numerose potrebbe comportare un peso insostenibile per il welfare statale, cosa a cui la sinistra, almeno a parole, dice di tenere parecchio. Infatti è vero che spesso nella loro totalità gli immigrati hanno un impatto positivo sull’economia di un Paese, compresa l’Italia, dove gli immigrati, che comprendono logicamente anche quelli che vengono dagli altri Paesi dell’Unione Europea, contribuiscono positivamente all’economia del Paese. Infatti versano nelle casse dello Stato di più di quello che prendono perché, in media, sono giovani, in età lavorativa e quindi tendono a non utilizzare servizi come ospedali o sanità in genere come farebbe una popolazione più anziana. Però questo non significa che lo stesso valga per tutti gli immigrati.

  Ed è questa distinzione che a sinistra non si vuole fare. In Italia, così come in molti altri Paesi, non ci sono dati che differenziano il contributo economico degli immigrati in base ai Paesi di partenza, ma c’è un Paese che lo ha fatto, la Danimarca, dove è venuto fuori che gli immigrati da altri Paesi dell’UE tendono a contribuire al sistema, mentre gli immigrati provenienti da Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, e di religione musulmana (quelle che il governo danese definisce MENAPT) tendono a prendere più di quello che danno, perché fanno lavori meno qualificati e hanno in media famiglie numerose. Infatti in Danimarca è la sinistra che ha messo in piedi una politica restrittiva in termini di immigrazione e di accoglienza dei rifugiati dal Medio Oriente, pensando alla protezione del proprio sistema di welfare, uno dei tratti cruciali dell’identità danese. In Italia invece la sinistra, lungi dal fare questo ragionamento, si limita solo a dire che l’immigrazione apporta benefici, che fa bene all’economia, ripetendo a pappagallo cose di cui si è autoconvinta perché affronta il tema solo da un punto di vista ideologico. Quindi due narrazioni, quella di destra e quella di sinistra, entrambe sballate, sbagliate e farsesche. Cosa che già lascia intendere il pressappochismo con cui, come Paese e come classe politica, affrontiamo questo problema, non da persone mature. Ma andiamo al prossimo punto: gli sbarchi.

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