Con 99 voti a favore, 65 contrari e un’astensione, il Senato ha approvato in via definitiva il decreto flussi. Una fiducia che trasforma un provvedimento complesso in legge, tra norme di gestione dei lavoratori stranieri e misure contro il caporalato, ma anche con disposizioni che non smettono di far discutere. Il decreto si estende ben oltre le semplici regole per l’ingresso di lavoratori, incorporando modifiche che sembrano rispondere più agli scontri istituzionali che a una reale visione di lungo termine.
Tra le novità, l’elenco dei Paesi sicuri da cui è più semplice respingere i richiedenti asilo. Una mossa che segue lo scontro tra il governo e i tribunali di Bologna e Roma, che avevano bocciato alcune espulsioni verso l’Albania. Con una rapidità che non è passata inosservata, l’esecutivo ha stilato una lista che include Albania, Egitto e Bangladesh, tra gli altri. Ma è proprio questa fretta che alimenta i dubbi: la sicurezza di un Paese è davvero valutata in modo accurato o si tratta di un mezzo per semplificare un processo di respingimento già sotto accusa?
C’è poi il cosiddetto «emendamento Musk», che sposta la competenza sulle convalide dei trattenimenti nei centri per migranti dalle mani dei Tribunali a quelle delle Corti d’Appello.
Una scelta che, secondo il governo, mira a snellire i procedimenti, ma che i magistrati criticano come una forma di interferenza, un tentativo di aggirare pronunce scomode e in linea con la giurisprudenza europea.
Le opposizioni, da Matteo Renzi al Movimento 5 Stelle, non si sono fatte attendere con critiche durissime. Renzi ha attaccato frontalmente il governo, accusandolo di una “narrazione propagandistica” che nasconde la realtà dei numeri. “Più sbarchi sotto il governo Meloni che con il mio”, ha dichiarato l’ex premier, definendo l’hub per i rimpatri in Albania “una buffonata” che ospita solo “cani randagi”. Non meno aspra la reazione dei 5 Stelle, che denunciano l’uso di un miliardo di euro per misure inefficaci mentre sanità e salari restano ignorati.
Eppure, non mancano voci a sostegno del decreto. Il governo, con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi in prima linea, lo difende come un provvedimento necessario per rispondere a una gestione migratoria sempre più complessa.
“Questo decreto è una risposta alle sfide del presente, che garantisce sicurezza e legalità, senza dimenticare il rispetto per i diritti fondamentali”, ha dichiarato il ministro.
Ma dietro il linguaggio formale, rimane un dubbio di fondo: quanto queste misure servono a risolvere il problema e quanto, invece, a mantenerlo sul tavolo come tema divisivo? La sensazione è che, ancora una volta, si stia costruendo un impianto normativo più per rispondere agli elettori che per affrontare il fenomeno migratorio nella sua complessità. La giurisprudenza europea, intanto, osserva e potrebbe riservare altre sorprese.
Se c’è una certezza, è che il decreto non chiude la questione. La domanda resta aperta: oltre a disegnare confini e liste, che futuro stiamo preparando per chi attraversa il Mediterraneo e per chi vive sulle sue sponde?