Alghero: Lo carretòner - Un racconto di Tonio Mura Ogno

  Chi, come me, sin da piccolo, volente o nolente, ha avuto a che fare a ma los cantóns, les caldarelas, lo cement, la matzeta e l’escarpell, sicuramente ha conosciuto los carratóners. Sono i motocarristi ante litteram, trasportatori che stazionavano da Fonnesu o da Panalzoru in attesa che qualcuno prenotasse il servizio. Il veicolo si guidava senza patente, era dotato di ruote e di motore. Per la precisione due ruote ma non era una bicicletta e neppure una motoretta: era un carro! Un motore ma non era né un cinquantino né un entrobordo: era un cavall! Lo cavall, lo duenyo del cavall e lo carro fevan lo carratóner. Dei tre il più simpatico era il cavallo, anche il più sfigato però, perché senza il cavallo col cavolo che il carro andava! Un viatge de arena, i tambè dos quintars de cement e quatre cantóns blancs. Quindi davo l’indirizzo e l’ultima richiesta, la più importante, almeno per me: a ma porta? Aiò, munta. A quel punto se c’era un ragazzino felice ero io, se c’era un animale con i coglioni girati era il cavallo, che già non bastava il peso che doveva trascinare! Le redini erano lunghe ma lo carratóner quasi non le usava, bastava un comando vocale e il cavallo obbediva. Troctroc, troctroc, troctroc, il cavallo avanza e trascina il carro, lentamente, troctroc troctroc troctroc…e poi pruciok, di nuovo pruciok, pruciok pruciok, quatre massidadas de merda, que lo pes de tirar già no era poc!. A quei tempi era normale che un cavallo cagasse in strada, ed era normale che la strada puzzasse di merda di cavallo. Troctroc troctroc troctroc…e poi schiscsccscc, una pisciadada que no finiva mès. A quei tempi era normale che un cavallo pisciasse in strada…ed era normale anche per gli uomini, considerato che non c’era rucò que no èra batiat! Arrivati a destinazione bisognava scaricare. I futis a ta carragar un sac de cement? Bisogna sapere che all’epoca un sacchetto di cemento pesava mezzo quintale, e che io data l’età ero un ragazzino che forse a mala pena ne pesava poco più di 40 di chili. Avrei dovuto rispondere di no e invece ho risposto di si, mi sentivo forte e volevo dimostrarlo.

  Prende il sacco e me lo carica su una spalla, e ma escanyat! Non c’era pietà! Solo io so come ha fatto il sacco a non spaccarsi mentre con gli altri è andata meglio, nel senso che li accompagnavo a terra. Los cantóns blancs in teoria dovevano essere più leggeri ma non se la notte prima aveva piovuto. E aveva piovuto! Zuppi d’acqua pesavano quasi il doppio, scivolosi come di sapone, che all’idea di prenderli di peso già mi sentivo l’esquena troncada. Giti en terra mi uscì d’istinto, quindi li fece rotolare ad uno ad uno sulla sabbia e patapum, uno dietro l’altro caddero giù senza fatica. Bisogna sapere che lo carro non aveva il ribaltabile, per cui la sabbia doveva essere scaricata a pala, e ogni buon carratóner aveva, oltre al cavallo, anche la pala. Al contrario del cavallo però la pala non lavorava da sola, per cui anche per scaricare la sabbia ci voleva un certo impegno. In questo caso io assistevo allo scaricamento, e anche il cavallo, e man mano che il cavallo percepiva l’alleggerimento del carro godeva, e lo vedevi che godeva, perché lo cicì si allungava come un’anaconda, e non capivi se era rilassatezza o pòrra. Passarono pochi anni e i carri trainati dai cavalli furono sostituiti dai motocarri, e alcuni avevano anche il ribaltabile, rendendo meno faticoso il lavoro del carratóner. Prima però di arrivare ai motocarri ci fu una fase di passaggio: alcuni carri si dotarono di grosse ruote gonfiabili, come i pneumatici dei camion, quasi a preannunciare il cambiamento, un ibrido tra il vecchio e il moderno. La fine dei cavalli possiamo immaginarla, immolati alla causa, venduti a fettine per contribuire all’acquisto del motocarro. Quella fu anche la fine del carratóner, che per poter guidare il motocarro dovette prendere la patente e di conseguenza cambiare denominazione: lo motocarrista! E’ cambiata anche la sensibilità verso il cavallo, esautorato dai lavori di fatica e promosso ad animale di compagnia o da passeggio. A me invece piace pensare che il cavallo che trascinava lo carro fosse solidale col duenyo, che la fatica dell’uno fosse accompagnata dalla fatica dell’altro, che in quel tipo di lavoro ci fosse una intensa complicità tra animali di diversa specie, e che ognuno si dovesse guadagnare il pane o la garrofa facendo la sua parte. I cavalli più belli per me erano i bianchi, quasi avessero un portamento più nobile anche nella fatica di trascinare lo carro. Le strade erano bianche ma il passaggio del carro non sollevava polvere, era un troctroc quasi musicale, piacevole come la vista del cavallo e l’armonia dei suoi movimenti. Oggi i cavalli li vedi trascinare per finta le carrozze elettriche per i turisti, si muovono goffi in mezzo al traffico, vorrebbero quasi essere un ritorno nostalgico al passato o un modo diverso e meno frettoloso di visitare la città. A quel temps però no torna mès, per fortuna del cavall e dels minyons, che almeno da noi il lavoro minorile è proibito e no sa va mès a traballar a ma l’excusa que tot ès un joc.

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